GLI "ALLEATI"? VA
BENE, MA DI CHI ? I BOMBARDAMENTI DI TREVISO
IL TRAGICO VENERDI SANTO (7 aprile
1944)
Trascritto dal cyberamanuense
Bruno Fanton in ricordo delle vittime
innocenti, e per indicare alle nuove generazioni modi alternativi di studiare
la storia.
Avevano avuto assegnazione in città e nella
periferia gli uffici del ministero dell'Agricoltura del governo della R.S.I.,
e ciò aveva comportato un notevole aumento delle presenze nel Comune
di Treviso. Al seguito dei dipendenti di tale ministero erano giunte molte
famiglie, ed anche il contingente di militari si accrebbe notevolmente.
Nei primi giorni di aprile vennero febbrilmente
scavate parecchie postazioni d'artiglieria contraerea, formando una cintura
a quattro-cinque chilometri dalla città; le batterie erano tedesche
(con evidente comando germanico) e il personale ai pezzi prevalentemente
italiano. Quando, nel corso degli allarmi, appariva qualche caccia avversario,
erano guai per la popolazione perchè le schegge dei proiettili venivano
a cadere anche nelle zone cui affluiva la gente all'uscita dalla Città;
era quindi consigliabile rimanere in casa o recarsi sveltamente ai rifugi
che, almeno per questo pericolo, erano sufficientemente resistenti.
Ecco perchè il 7 aprile la popolazione venne
in gran parte sorpresa entro le mura cittadine.
Mancava poco alle 13 quando le sirene urlarono al
pericolo incombente, e molti lasciarono le case per recarsi al rifugio.
Gruppi di aerei da caccia sorvolarono la città dopo pochi minuti
e le schegge dei proiettili dei cannoni antiaerei già fischiavano
nella loro caduta. Suggerita da un presentimento, mia madre volle superare
il ricovero di via D'Annunzio ove ci si recava abitualmente per riparare
in quello che sorgeva in via Cesare Battisti (nell'area ora occupata dalla
sede dell'INAIL), e lì vedemmo arrivare quei dannati bombardieri,
in formazione perfetta e compatta, argentei come pesci in spensierata
vacanza, alti per evitare il più possibile il tiro delle artiglierie
che gli facevano fiorire tutt'intorno piccole nuvole provocate dagli scoppi,
ed alti anche per l'evidente noncuranza di ricercare gli obiettivi
che potessero avere una certa importanza militare.
Vedemmo i primi grappoli di bombe e si udirono le
prime esplosioni provenienti dai sobborghi di S. Antonino e di S. Lazzaro.
Ci precipitammo entro il rifugio quando lo schianto avvolse tutta la città;
lo spostamento violentissimo dell'aria ci sbatteva addosso togliendo il
respiro e scaraventandoci gli uni sugli altri contro le pareti del precario
ricovero; la terra sussultava con un ritmo incredibile quasi a spaccarsi
ed inghiottirci. Urla di terrore, invocazioni, richiami di persone care,
davano la convinzione che ormai non ci sarebbe stato scampo per alcuno.
Il cupo rumore degli aerei non era ancora spento
quando si sentì quello della seconda ondata. Le bombe ripresero
a grandinare sulla città per altri pochi ma terrificanti minuti.
Appena il frastuono diminuì, consentendo
di capire qualcosa tra le grida che continuavano a riempire il ricovero
ove mi trovavo, riuscii a cogliere la seguente scena di cui furono protagonisti
due bambini di 8 e 9 anni. Giuliano B., aggrappato alla madre, urlava che
non voleva morire; Giovannino T. lo guardava impassibile, quasi commiserandolo,
finchè gli chiarì il motivo della sua calma: Mi, inveze,
gò caro de morir, parchè cussì no vado più
a scuola. (lo sventurato Giuliano morì qualche anno dopo la
guerra, annegato nell'insidioso Sile che aveva affrontato con imprudenza;
Giovannino è diventato un pezzo d'uomo qual’era il suo buon papà,
e vive tuttora a Treviso).
Il breve colloquio venne bruscamente interrotto
dalla terza ondata di bombardieri che suscitò altre rovine e la
disperata convinzione che Treviso e tutti noi saremmo spariti dal mondo.
Terminati i laceranti scoppi, rimanemmo ammutoliti
senza il coraggio di esprimere la speranza che il martellamento fosse concluso.
Poi si udirono le prime urla provenire dall'esterno, e cautamente, quasi
increduli, uscimmo all'aperto.
La scena era spaventosa; sebbene la giornata fosse
limpida, il sole quasi non si scorgeva perchè oscurato da una
coltre di fumo e di polvere alimentata dagli incendi e dai muri delle
case che continuavano a crollare.
A pochi metri dal nostro ricovero una bomba aveva
colpito la villa dell'on. Cappellotto; non sapevamo ancora quale strazio
si era compiuto nel rifugio situato nel cortile dell'ex convento delle
Cappuccine distante appena poche decine di metri. Ci andai pochi giorni
dopo; erano morti persino i grossi topi che vi si erano installati forse
vivendo di qualche avanzo alimentare lasciato cadere da coloro che lo frequentavano
durante gli allarmi; dal vicino quartiere di S. Niccolò la gente,
tra cui molti che sanguinavano, fuggivano inebetiti dal terrore.
Una giovanetta correva urlando "mamma; mamma"
tenendo stretta al petto, quasi volesse portarla a salvamento la testa
della madre.
Non fu possibile raggiungere la nostra casa, situata
nei pressi del rifugio che solitamente frequentavamo e che era stato colpito
massacrando due terzi delle persone che vi si trovavano; lo spostamento
d'aria, incanalatosi nella parte non crollata del rifugio smembrò
letteralmente parecchi corpi.
Una nostra vicina diventata madre dopo anni di ansiosa
attesa, impietrita dal dolore cullava tra le braccia il suo bambino di
pochi mesi rimasto senza la testa finita chissà dove.
Per arrivare alla casa che pur danneggiata si scorgeva
in piedi, dovemmo ritornare verso via Battisti, attraversare piazza del
Duomo seminata di macerie, seguire il Calmaggiore, superare l'enorme gradino
venuto a crearsi davanti alla Cassa di Risparmio e che era ciò che
rimaneva della ceduta facciata del palazzo dei Trecento; via XX Settembre
era pur ingombra di rovine, davanti all'albergo "Stella d'Oro"
quasi totalmente crollato, situato nell’area ora occupata dalla sede della
Banca Commerciale e dall'inizio di via Toniolo ~ i tedeschi (sapremo poi
il perchè) ci facevano sveltamente allontanare. L'edificio occupato
dal Provveditorato agli Studi (pregevole palazzo, occupato a pianterreno
da un negozio di calzature, che esisteva tra le vie Diaz e Collalto) era
un rogo impressionante, e qui venimmo trattenuti da un ufficiale della
"compagnia della morte" che, fuori di senno dal terrore, gridava
"tutti nel fuoco; tutti nel fuoco" con l'assurda pretesa che
senza un goccio d'acqua noi si potesse fermare l'incendio che insieme devastava
documenti scolastici e scarpe preziosissime, anche se aventi la tomaia
di tela da sacchi.
Fu necessario proseguire per il corso, fino quasi
alla chiesa di S. Martino completamente distrutta, girare per via Cadorna
ove erano state abbattute case e danneggiate le scuole "Gabelli"
e il monumento ai Caduti, infilarci per via Avogari giungendo infine a
casa e predisporsi a partire con le poche cose che era possibile portare
con sè.
Bastò il motore di un piccolo aereo da ricognizione,
che sorvolò la città in quei momenti, per diffondere nuovamente
il terrore: i xe qua ancora! Uomini, donne, bambini urlanti, salivano
e scendevano i cumuli di macerie come formiche impazzite : per andare dove?
Mentre le squadre dell'UNPA, dei vigili del fuoco,
della Croce Rossa, sacerdoti, volontari accorsi anche dalla provincia e
da altre città venete, si prodigavano prontamente e con esemplare
generosità nell'opera di soccorso e di recupero delle salme, l’esodo
delle famiglie superstiti divenne quasi totale. Con la lenta ripresa del
pur necessario lavoro (ad eccezione di gran parte degli uffici pubblici
definitivamente stabilitisi nei vari paesi della Marca) parecchie persone
ritornarono in città nei giorni successivi per rientrare alla sera
nei paesi in cui erano sfollate le famiglie.
Valutare l'entità delle vittime è
impossibile ed estremamente difficile quella dei danni.
All'indomani del bombardamento si fecero cifre grosse,
affermando che i morti furono cinquemila, ma è da ritenere che le
vittime non siano state superiori ai duemila, di cui 1200 circa tra gli
abitanti del Comune e i restanti tra militari ed altre persone non anagraficamente
residenti a Treviso.
Un mese dopo l’attacco terroristico del Venerdi
Santo, Radio Londra e le stazioni satelliti diramarono il seguente comunicato
"Reuter":
L'ATTACCO CONTRO LA CITTA' DI TREVISO E' AVVENUTO
DURANTE L'INCONTRO GRAZIANI-VON RIBBENTROP, MENTRE SI SVOLGEVA UNA GRANDE
PARATA MILITARE IN ONORE DEL MINISTRO GERMANICO.
Questa è una menzogna colossale, anche se
a Treviso erano effettivamente presenti più militari del solito,
e pur ritenendo credibile la presenza di Graziani che pare si sia allontanato
appena dato il segnale d'allarme.
Una riunione militare di un certo livello era forse
indetta quel giorno presso l’albergo "Stella d'Oro". Venne anche
sussurrato che sul tetto di questo albergo ci fosse stato un uomo-travestito
da donna e poi trovato cadavere tra le macerie - che faceva segnali luminosi
per indicare agli aerei l’edificio in cui si svolgeva tale incontro, e
che egli non abbia fatto in tempo a salvarsi poiché gli aerei hanno
buttato giù bombe senza alcuna preoccupazione oltre a quella di
vedere cancellato il segnale e quindi anche l’albergo. Certo è che
in quelle rovine lavorarono soltanto militari germanici e la popolazione
venne tenuta alla larga;
Cinque feretri (con una feritoia per l’identificazione)
sono stati portati via dai tedeschi, e pare che vi fossero dentro i corpi
di altrettanti generali. Le salme dell'albergatore Luciano Voegelin, abbastanza
noto anche come scrittore, della moglie e di altri otto congiunti vennero
portate a Cortina d'Ampezzo.
Sicuramente molti erano i dipendenti del ministero
dell’Agricoltura che da tempo erano presenti nella zona di Treviso (risale
a quell'occasione la venuta della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura,
che rimane tuttora l'unica dipendenza, di questo importante istituto di
credito, che opera nella tre Venezie), ma evidentemente non può
essere ritenuto un successo bellico quello di aver soppresso dieci tra
funzionari e dipendenti del ministero e della Corte dei Conti, e quattordici
loro familiari. Mori' anche il sindacalista Giuseppe Tarchi (fratello del
ministro dell'Economia Corporativa Angelo Tarchi) con la madre e altri
due congiunti.
Trovarono la morte a Treviso due dipendenti dell'Istituto
Nazionale di Statistica, uno dell'EIAR ente radiofonico, e non pochi parenti
di trevigiani qui giunti per le festività pasquali, oltre a molti
sventurati (da Conegliano, Spercenigo, Maserada) che quelgiorno vennero
a trovarsi a Treviso.
Numerosi dovrebbero essere stati i morti tedeschi
nell'unica caserma che venne colpita; un lungo corteo di carri lasciò
l’edificio, con il macabro carico, nel corso della notte tra il sabato
e la domenica di Pasqua.
E' dunque impossibile valutare il numero dei morti.
Certo è che non furono pochi i carri (molto usate furono le carriole
da verdura, di lunghezza idonea, a due ruote) con i quali i parenti delle
vittime residenti fuori del Comune di Treviso vennero a ritirare i corpi
dei propri cari.
La drammatica incombenza di dover provvedere al
seppellimento dei propri congiunti fu frequente in quei giorni. Le ricerche
avvenivano nelle chiese dove erano state deposte le vittime, prevalentemente
in quella di S. Leonardo, nella Cattedrale, e nel battistero di S. Giovanni.
Erano corpi anneriti, spesso mutilati ed irriconoscibili,
membra e brani umani di chissà chi, tra cui una testa di bambina
(raccolta in via Ortazzo) con una manina pure stroncata e disperatamente
appesa ai riccioli biondi.
Tra questo scempio accadeva anche che diversi gruppi
familiari si disputassero un povero morto nel quale ravvisavano un proprio
congiunto; dubbi che sorgevano perchè i tremendi spostamenti d'aria
avevano spesso provocato, oltre all'irreparabile lacerazione dei polmoni,
l'asportazione delle vesti.
Un mio vicino di casa dovette confezionare con le
sue mani la bara ove poi collocarono il figlio portandolo di persona al
cimitero.
La carenza di casse da morto, per l'imprevedibile
occorrenza che esaurì le scorte anche nei paesi vicini, determinò
dei problemi; si dice che vennero frettolosamente costruite bare a più
posti, talvolta ricorrendo al misero legno ricavato dalle cassette, per
la futta. Certo è che anche al camposanto di S. Lazzaro non ci fu
posto per i seppellimenti, e si dovette ricorrere ai cimiteri frazionali.
Sui ruderi degli edifici distrutti cominciarono
ad apparire scritte di violenta protesta. Vi aveva provveduto l'ufficio
di propaganda dei reggitori d'allora, ma è indubbio che interpretassero
lo sdegno di tutta la cittadinanza.
Furono parecchi coloro che a causa delle ferite
morirono dopo varie settimane, malgrado l'encomiabilissima dedizione dei
medici di Treviso che - nei posti di soccorso istituiti nei vari punti
della città - nell’ospedaletto approntato nella zona di S. Antonino
vennero accolti 150 feriti gravi ed altrettanti di leggeri - riuscirono
a salvare un gran numero. Qui e negli ospedali della provincia fu assiduamente
presente, per recare espressioni di conforto, il Vescovo mons. A. Mantiero
che con i suoi collaboratori fu visto tra le macerie della città
ancor prima della cessazione dell'allarme.
Un giovane sordomuto venne estratto salvo -dopo
oltre tre giorni- dalle rovine della sua casa in via Pescatori. Il padre
era morto all'istante, e la madre -vissuta fino alla domenica di Pasqua-
gli aveva fatto schermo col proprio corpo per proteggerlo dalla possibile
caduta di altri materiali.
Durissimo il bilancio degli edifici distrutti o
gravemente danneggiati.
Il palazzo dei Trecento, il più prestigioso
monumento civile di Treviso, era quasi totalmente crollato; una enorme
trave si era infilata attraverso il pavimento fuoriuscendo dal soffitto
della sottostante solidissima loggia.
Gravemente colpiti in molti casi irreparabilmente
furono la sezione ospedaliera di Cafoncello, il Duomo, il palazzo Da Noal,
la chiesa di S. Martino, il tempio votivo della Madonna Ausiliatrice, l'edificio
della Borsa, il battistero di S. Giovanni, la stazione ferroviaria, il
politeama "Garibaldi", il patronato S. Nicolò, l'orfanotrofio
"G. Emiliani" e la vicina scuola industriale, il liceo ginnasio
"Canova", la scuola "De Amicis", la Corte d' Assise
e il palazzo degli Agolanti, numerose case quattrocentesche con le pareti
affrescate che costituivano un aspetto caratteristico, quasi esclusivo
della città.
Le località più sconvolte risultaronoquelle
periferiche di S. Lazzaro, Fiera e S. Antonino; in città il quartiere
di S. Nicolò,piazzalee via Cesare Battisti, via Giordani (via Pescatori),
Tezzon, via Dotti, via Fra' Giocondo.
I ricoveri colpiti furono otto tra cui quello detto
"dei Bagni"; era un vicolo interrato che attraversava il giardino
dei conti Avogadro e che era stato dotato di una copertura di calcestruzzo
: divenne una raccapricciante tomba per coloro che vi si rifugiarono.
Sull'antenna della torre di piazza dei Signori venne
issata - a carattere permanente e a mezz'asta - una bandiera tricolore.
***
Tra le tante cose preziose perdute dai sinistrati
sono da ricordare le carte annonarie, e la Sezione provinciale dell'alimentazione
ordinò il rilascio di duplicati.
Nei giorni immediatamente successivi al bombardamento
venne disposta la distribuzione, per persona, di 100 grammi di burro, 100
grammi di formaggio fuso, 300 grammi di marmellata, 70 grammi di salumi,
50 grammi di conserva di pomodoro, e un certo numero di candele steariche;
il pane poteva venire ritirato nei panifici anche senza la carta annonaria
( previa annotazione con riserva di ritirare il bollino) nella normale
misura di 150 grammi giornalieri. Venne autorizzata la distribuzione straordinaria
di 100 grammi, per persona, di carne in conserva e latte condensato.
Provvedimenti di assistenza vennero adottati con
prontezza, e in pochi giorni vennero raccolti fondi per L. 1.500.000: la
cassa di Risparmio erogò, il 10 aprile, centomila lire di cui 50.000
messe a disposizione dell'autorità civile e 50.000 assegnate al
proprio personale maggiormente sinistrato.
Notizia comprensibilmente accolta con gioia fu quella
dell'aumento di 50 grammi, dal 20 aprile, della razione giornaliera di
pane, che risultò pertanto la seguente: 200 grammi per i normali
consumatori, 275 grammi per i giovani dai 9 ai 18 anni, 375 grammi per
i lavoratori manuali, 475 grammi per gli operai addetti ai lavori pesanti
e di 575 grammi per gli addetti ai lavori pesantissimi.
Anche la razione di pasta e riso venne aumentata
: tre chilogrammi al mese complessivamente. Il tasso di abburrattamento
della pasta venne ridotto dal 90 all’80 per cento.
Poichè le scuole del capoluogo erano state
chiuse, il capo della provincia prese accordi con il provveditore agli
Studi e il 13 aprile emise un decreto col quale
Tutti gli studenti delle classi 1926-27-28residenti
a Treviso, debbono considerarsi mobilitati al servizio del lavoro e presentarsi
al Comando provinciale dell'U.N.P.A presso la Prefettura di Treviso, alle
dipendenze del quale resteranno per tutto il periodo di emergenza necessario
al riassetto del capoluogo e ripresa della vita cittadina.
Gli studenti che non ottempereranno tale ordine,
non verranno presi in considerazione ai fini degli scrutini finali e saranno
deferiti al Tribunale di guerra.
Con detta ordinanza venne richiesto l'invio a Treviso,
a disposizione del Genio Civile, di tutti gli automezzi non impiegati per
industrie di guerra o approvvigionamenti alimentari, e la requisizione
di tutti i carri agricoli dei Comuni situati a una distanza non superiore
ai quindici chilometri da Treviso. Ciò per il periodo di emergenza
necessario alla riattivazione della vita cittadina.
Ripresero a funzionare presso il Seminario vescovile,
dopo la distruzione del vicino patronato di S. Nicolò il refettorio
che distribuiva minestra, per i meno abbienti, a cura delle organizzazioni
religiose.
Il 16 aprile Domenica in Albis - in tutte le chiese
della provincia vennero celebrati riti di suffragio per le vittime dell'incursione.
Nel tempio di S. Francesco a Treviso ha celebrato la Messa il vescovo mons.
Antonio Maniero.
***
Fervevano intanto le operazioni di sgombero delle
macerie tra le quali -anche dopo un mese- vennero rinvenute alcune salme.
***
Poichè solitamente riparavo con la famiglia
nel ricovero allestito a poche decine di metri da casa -e che venne colpito
in pieno- si diffuse la notizia, avvalorata dal fatto che la pur traballante
abitazione era rimasta deserta nei giorni successivi, che anche noi fossimo
morti. Messe di suffragio vennero fatte celebrare, per noi, da famiglie
amiche.
Un ricordo personale di maggiore interesse risale
a pochi mesi dopo la conclusione della guerra. E' necessario premettere
che, trentacinque anni addietro, la famiglia di mia madre abitava in una
grande casa nel cui androne erano situati gli ingressi di due abitazioni;
in una di queste alloggiava la famiglia di un bambino di 7-8 anni il quale
era compagno di giochi della mia futura mamma, e che successivamente emigrò
con la sua famiglia negli Stati Uniti.
Il ragazzetto trevigiano divenne cittadino americano,
con tutti i conseguenti diritti doveri, e il 7 aprile -quale sottufficiale
dell'aeronautica americana- era lassù, in uno di quei maledetti
bombardieri che stavano fracassando Treviso. Conclusa la guerra e trovandosi
in Italia, tornò alla casa natia per avere notizie dell’Angelina,
la compagna di giochi dell'infanzia ormai lontana.
Non trovò mia madre ma altri parenti che
erano subentrati nell'abitazione situata ai margini della città.
Riferì l'angoscia provata quel giorno per la certezza di aver recato
danni irreparabili alla sua città, per il dubbio atroce di aver
contribuito a dilaniare anche la bambina che, nella sua mente, era rimasta
impressa tra le cose più care della sua terra d'origine, della sua
Patria diventata nemica. Informò anche -e questo è il motivo
che qui interessa- che l'azione contraerea aveva notevolmente contrastato
l'incursione su Treviso; le schegge dei proiettili esplodenti a poca
distanza dagli aerei schizzavano entro le fusoliere, per cui le formazioni
rientrarono con alcune decine di morti a bordo e numerosi feriti.
Non ci fu possibile incontrarlo. Gli bastò sapere che era cessato
almeno uno dei suoi motivi di rimorso, e partì.
Dal libro TREVISO NEL FUOCO di Mario Altarui. Edito dalla Cassa
di Risparmio della Marca Trivigiana nella ricorrenza del XXX° del Venerdì
Santo 1944. Edizioni di Ca' Spineda
IL BOMBARDAMENTO DEL 14 MAGGIO
1944
Trascritto dal cyberamanuense
Bruno Fanton in ricordo delle vittime
innocenti, e per indicare alle nuove generazioni modi alternativi di studiare
la storia.
A conferma che Treviso non presentava obbiettivi
validi per l'indiscriminato bombardamento che, nel tragico Venerdì
Santo, sconvolse la città e il suburbio nei sette minuti iniziati
alle 13.05 e durante i quali -in tre successive ondate- oltre trecento
quadrimotori vuotarono il loro carico di morte, riproduciamola lettera
di protesta che il comitato provinciale di Liberazione nazionale di Treviso
indirizzò il 15 aprile.
Al Comando Militare Provinciale del C.V.L.:
SI INVITA CODESTO COMANDO MILITARE PROVINCIALE A SEGNALARE AL COMANDO
ALLEATO CHE GLI ULTIMI BOMBARDAMENTI, E SOPRATTUTTO QUELLO ESEGUITO IL
7 APRILE 1944 SULLA CITTA' DI TREVISO SONO STATI DANNOSIALLA CAUSA AVENDO
ESASPERATO LA POPOLAZIONE PER I DANNI INGENTI PROVOCATI A CASE E A PERSONE,
SENZA CHE ALCUN NOCUMENTO DI SERIA IMPORTANZA SIA STATO APPORTATO AD OBBIETTIVI
DI CARATTERE MILITARE. LA PRESENTE SEGNALAZIONE RIVESTE CARATTERE DI ESTREMA
URGENZA ED IMPORTANZA, PER CUI SI INVITA CODESTO COMANDO A DARE COMUNICAZIONE
A QUESTO COMITATO CIRCA LA SUA EFFETTUAZIONE, COMUNICANDO ANCHE l’EVENTUALE
RISPOSTA DEL COMANDO ALLEATO.
Il comando cosiddetto Alleato rispose sollecitamente
per via aerea il 14 maggio, di domenica : con un'altra crudele azione
terroristica su Treviso.
Era appena passato il mezzogiorno quando i quadrimotori
angloamericani salirono rapidamente dall'orizzonte. Io mi trovavo, con
i familiari e migliaia di altre persone a sud della città'. Le bombe,
sganciate proprio sopra le nostre teste, iniziarono la loro caduta obliqua
prima rotolando e poi decisamente rivolte alla nostra povera città'
della quale si scorgevano nitidamente le case. Le deflagrazioni produssero
un effetto ottico allucinante: si videro, letteralmente, i tetti degli
edifici saltare in aria, subito superati da una nera coltre di fumo e di
polvere che ristagnò per lunghi minuti sulla martirizzata Treviso.
Altri lutti, altre mutilazioni di monumenti e di case.
I morti non furono molti perchè, dal Venerdì
Santo, appena le sirene suonavano tutti si precipitavano il più
lontano possibile. Non tutti riuscirono. Di una mia parente non rimase
nulla, e venne ritrovato solo un pezzo di bicicletta con la borsa in via
Zermanesa che venne duramente colpita unitamente alle vie Carlo Alberto,
Sant' Andrea, Collalto, zona di S. Tommaso, la piazzetta retrostante il
palazzo dei Trecento (ora p. G. Ancilotto), mentre gravissimi danni subì
la Loggia dei Cavalieri (unica loggia pubblica del genere ancora esistente
in Europa, risalente al XII secolo e ornata di affreschi). Una bomba rotolò
lungo lo scalone del palazzo della Prefettura, recando ugualmente notevoli
lesioni.
Scoppiò invece quella che colpì il
padiglione della seconda divisione medica dell’ospedale civile; fortunatamente
i degenti erano già stati trasferiti nei locali dell'asilo infantile
di Casier.
Dal libro TREVISO NEL FUOCO di Mario Altarui. Edito dalla Cassa
di Risparmio della Marca Trivigiana nella ricorrenza del XXX° del Venerdì
Santo 1944. Edizioni di Ca' Spineda