GLI "ALLEATI"? VA BENE, MA DI CHI ? I BOMBARDAMENTI DI TREVISO



IL TRAGICO VENERDI SANTO (7 aprile 1944)
Trascritto dal cyberamanuense Bruno Fanton in ricordo delle vittime innocenti, e per indicare alle nuove generazioni modi alternativi di studiare la storia.
 
 
    Avevano avuto assegnazione in città e nella periferia gli uffici del ministero dell'Agricoltura del governo della R.S.I., e ciò aveva comportato un notevole aumento delle presenze nel Comune di Treviso. Al seguito dei dipendenti di tale ministero erano giunte molte famiglie, ed anche il contingente di militari si accrebbe notevolmente.
    Nei primi giorni di aprile vennero febbrilmente scavate parecchie postazioni d'artiglieria contraerea, formando una cintura a quattro-cinque chilometri dalla città; le batterie erano tedesche (con evidente comando germanico) e il personale ai pezzi prevalentemente italiano. Quando, nel corso degli allarmi, appariva qualche caccia avversario, erano guai per la popolazione perchè le schegge dei proiettili venivano a cadere anche nelle zone cui affluiva la gente all'uscita dalla Città; era quindi consigliabile rimanere in casa o recarsi sveltamente ai rifugi che, almeno per questo pericolo, erano sufficientemente resistenti.
    Ecco perchè il 7 aprile la popolazione venne in gran parte sorpresa entro le mura cittadine.
    Mancava poco alle 13 quando le sirene urlarono al pericolo incombente, e molti lasciarono le case per recarsi al rifugio. Gruppi di aerei da caccia sorvolarono la città dopo pochi minuti e le schegge dei proiettili dei cannoni antiaerei già fischiavano nella loro caduta. Suggerita da un presentimento, mia madre volle superare il ricovero di via D'Annunzio ove ci si recava abitualmente per riparare in quello che sorgeva in via Cesare Battisti (nell'area ora occupata dalla sede dell'INAIL), e lì vedemmo arrivare quei dannati bombardieri, in formazione perfetta e compatta, argentei come pesci in spensierata vacanza, alti per evitare il più possibile il tiro delle artiglierie che gli facevano fiorire tutt'intorno piccole nuvole provocate dagli scoppi, ed alti anche per l'evidente noncuranza di ricercare gli obiettivi che potessero avere una certa importanza militare.
    Vedemmo i primi grappoli di bombe e si udirono le prime esplosioni provenienti dai sobborghi di S. Antonino e di S. Lazzaro. Ci precipitammo entro il rifugio quando lo schianto avvolse tutta la città; lo spostamento violentissimo dell'aria ci sbatteva addosso togliendo il respiro e scaraventandoci gli uni sugli altri contro le pareti del precario ricovero; la terra sussultava con un ritmo incredibile quasi a spaccarsi ed inghiottirci. Urla di terrore, invocazioni, richiami di persone care, davano la convinzione che ormai non ci sarebbe stato scampo per alcuno.
    Il cupo rumore degli aerei non era ancora spento quando si sentì quello della seconda ondata. Le bombe ripresero a grandinare sulla città per altri pochi ma terrificanti minuti.
    Appena il frastuono diminuì, consentendo di capire qualcosa tra le grida che continuavano a riempire il ricovero ove mi trovavo, riuscii a cogliere la seguente scena di cui furono protagonisti due bambini di 8 e 9 anni. Giuliano B., aggrappato alla madre, urlava che non voleva morire; Giovannino T. lo guardava impassibile, quasi commiserandolo, finchè gli chiarì il motivo della sua calma: Mi, inveze, gò caro de morir, parchè cussì no vado più a scuola. (lo sventurato Giuliano morì qualche anno dopo la guerra, annegato nell'insidioso Sile che aveva affrontato con imprudenza; Giovannino è diventato un pezzo d'uomo qual’era il suo buon papà, e vive tuttora a Treviso).
    Il breve colloquio venne bruscamente interrotto dalla terza ondata di bombardieri che suscitò altre rovine e la disperata convinzione che Treviso e tutti noi saremmo spariti dal mondo.
    Terminati i laceranti scoppi, rimanemmo ammutoliti senza il coraggio di esprimere la speranza che il martellamento fosse concluso. Poi si udirono le prime urla provenire dall'esterno, e cautamente, quasi increduli, uscimmo all'aperto.
    La scena era spaventosa; sebbene la giornata fosse limpida, il sole quasi non si scorgeva perchè oscurato da una coltre di fumo e di polvere alimentata dagli incendi e dai muri delle case che continuavano a crollare.
    A pochi metri dal nostro ricovero una bomba aveva colpito la villa dell'on. Cappellotto; non sapevamo ancora quale strazio si era compiuto nel rifugio situato nel cortile dell'ex convento delle Cappuccine distante appena poche decine di metri. Ci andai pochi giorni dopo; erano morti persino i grossi topi che vi si erano installati forse vivendo di qualche avanzo alimentare lasciato cadere da coloro che lo frequentavano durante gli allarmi; dal vicino quartiere di S. Niccolò la gente, tra cui molti che sanguinavano, fuggivano inebetiti dal terrore.
    Una giovanetta correva urlando "mamma; mamma" tenendo stretta al petto, quasi volesse portarla a salvamento la testa della madre.
    Non fu possibile raggiungere la nostra casa, situata nei pressi del rifugio che solitamente frequentavamo e che era stato colpito massacrando due terzi delle persone che vi si trovavano; lo spostamento d'aria, incanalatosi nella parte non crollata del rifugio smembrò letteralmente parecchi corpi.
    Una nostra vicina diventata madre dopo anni di ansiosa attesa, impietrita dal dolore cullava tra le braccia il suo bambino di pochi mesi rimasto senza la testa finita chissà dove.
    Per arrivare alla casa che pur danneggiata si scorgeva in piedi, dovemmo ritornare verso via Battisti, attraversare piazza del Duomo seminata di macerie, seguire il Calmaggiore, superare l'enorme gradino venuto a crearsi davanti alla Cassa di Risparmio e che era ciò che rimaneva della ceduta facciata del palazzo dei Trecento; via XX Settembre era pur ingombra di rovine, davanti all'albergo "Stella d'Oro" quasi totalmente crollato, situato nell’area ora occupata dalla sede della Banca Commerciale e dall'inizio di via Toniolo ~ i tedeschi (sapremo poi il perchè) ci facevano sveltamente allontanare. L'edificio occupato dal Provveditorato agli Studi (pregevole palazzo, occupato a pianterreno da un negozio di calzature, che esisteva tra le vie Diaz e Collalto) era un rogo impressionante, e qui venimmo trattenuti da un ufficiale della "compagnia della morte" che, fuori di senno dal terrore, gridava "tutti nel fuoco; tutti nel fuoco" con l'assurda pretesa che senza un goccio d'acqua noi si potesse fermare l'incendio che insieme devastava documenti scolastici e scarpe preziosissime, anche se aventi la tomaia di tela da sacchi.
    Fu necessario proseguire per il corso, fino quasi alla chiesa di S. Martino completamente distrutta, girare per via Cadorna ove erano state abbattute case e danneggiate le scuole "Gabelli" e il monumento ai Caduti, infilarci per via Avogari giungendo infine a casa e predisporsi a partire con le poche cose che era possibile portare con sè.
    Bastò il motore di un piccolo aereo da ricognizione, che sorvolò la città in quei momenti, per diffondere nuovamente il terrore: i xe qua ancora! Uomini, donne, bambini urlanti, salivano e scendevano i cumuli di macerie come formiche impazzite : per andare dove?
    Mentre le squadre dell'UNPA, dei vigili del fuoco, della Croce Rossa, sacerdoti, volontari accorsi anche dalla provincia e da altre città venete, si prodigavano prontamente e con esemplare generosità nell'opera di soccorso e di recupero delle salme, l’esodo delle famiglie superstiti divenne quasi totale. Con la lenta ripresa del pur necessario lavoro (ad eccezione di gran parte degli uffici pubblici definitivamente stabilitisi nei vari paesi della Marca) parecchie persone ritornarono in città nei giorni successivi per rientrare alla sera nei paesi in cui erano sfollate le famiglie. 
    Valutare l'entità delle vittime è impossibile ed estremamente difficile quella dei danni.
    All'indomani del bombardamento si fecero cifre grosse, affermando che i morti furono cinquemila, ma è da ritenere che le vittime non siano state superiori ai duemila, di cui 1200 circa tra gli abitanti del Comune e i restanti tra militari ed altre persone non anagraficamente residenti a Treviso.
    Un mese dopo l’attacco terroristico del Venerdi Santo, Radio Londra e le stazioni satelliti diramarono il seguente comunicato "Reuter":
    L'ATTACCO CONTRO LA CITTA' DI TREVISO E' AVVENUTO DURANTE L'INCONTRO GRAZIANI-VON RIBBENTROP, MENTRE SI SVOLGEVA UNA GRANDE PARATA MILITARE IN ONORE DEL MINISTRO GERMANICO.
    Questa è una menzogna colossale, anche se a Treviso erano effettivamente presenti più militari del solito, e pur ritenendo credibile la presenza di Graziani che pare si sia allontanato appena dato il segnale d'allarme.
    Una riunione militare di un certo livello era forse indetta quel giorno presso l’albergo "Stella d'Oro". Venne anche sussurrato che sul tetto di questo albergo ci fosse stato un uomo-travestito da donna e poi trovato cadavere tra le macerie - che faceva segnali luminosi per indicare agli aerei l’edificio in cui si svolgeva tale incontro, e che egli non abbia fatto in tempo a salvarsi poiché gli aerei hanno buttato giù bombe senza alcuna preoccupazione oltre a quella di vedere cancellato il segnale e quindi anche l’albergo. Certo è che in quelle rovine lavorarono soltanto militari germanici e la popolazione venne tenuta alla larga;
    Cinque feretri (con una feritoia per l’identificazione) sono stati portati via dai tedeschi, e pare che vi fossero dentro i corpi di altrettanti generali. Le salme dell'albergatore Luciano Voegelin, abbastanza noto anche come scrittore, della moglie e di altri otto congiunti vennero portate a Cortina d'Ampezzo.
    Sicuramente molti erano i dipendenti del ministero dell’Agricoltura che da tempo erano presenti nella zona di Treviso (risale a quell'occasione la venuta della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, che rimane tuttora l'unica dipendenza, di questo importante istituto di credito, che opera nella tre Venezie), ma evidentemente non può essere ritenuto un successo bellico quello di aver soppresso dieci tra funzionari e dipendenti del ministero e della Corte dei Conti, e quattordici loro familiari. Mori' anche il sindacalista Giuseppe Tarchi (fratello del ministro dell'Economia Corporativa Angelo Tarchi) con la madre e altri due congiunti.
    Trovarono la morte a Treviso due dipendenti dell'Istituto Nazionale di Statistica, uno dell'EIAR ente radiofonico, e non pochi parenti di trevigiani qui giunti per le festività pasquali, oltre a molti sventurati (da Conegliano, Spercenigo, Maserada) che quelgiorno vennero a trovarsi a Treviso. 
    Numerosi dovrebbero essere stati i morti tedeschi nell'unica caserma che venne colpita; un lungo corteo di carri lasciò l’edificio, con il macabro carico, nel corso della notte tra il sabato e la domenica di Pasqua.
    E' dunque impossibile valutare il numero dei morti. Certo è che non furono pochi i carri (molto usate furono le carriole da verdura, di lunghezza idonea, a due ruote) con i quali i parenti delle vittime residenti fuori del Comune di Treviso vennero a ritirare i corpi dei propri cari.
    La drammatica incombenza di dover provvedere al seppellimento dei propri congiunti fu frequente in quei giorni. Le ricerche avvenivano nelle chiese dove erano state deposte le vittime, prevalentemente in quella di S. Leonardo, nella Cattedrale, e nel battistero di S. Giovanni.
    Erano corpi anneriti, spesso mutilati ed irriconoscibili, membra e brani umani di chissà chi, tra cui una testa di bambina (raccolta in via Ortazzo) con una manina pure stroncata e disperatamente appesa ai riccioli biondi.
    Tra questo scempio accadeva anche che diversi gruppi familiari si disputassero un povero morto nel quale ravvisavano un proprio congiunto; dubbi che sorgevano perchè i tremendi spostamenti d'aria avevano spesso provocato, oltre all'irreparabile lacerazione dei polmoni, l'asportazione delle vesti.
    Un mio vicino di casa dovette confezionare con le sue mani la bara ove poi collocarono il figlio portandolo di persona al cimitero.
    La carenza di casse da morto, per l'imprevedibile occorrenza che esaurì le scorte anche nei paesi vicini, determinò dei problemi; si dice che vennero frettolosamente costruite bare a più posti, talvolta ricorrendo al misero legno ricavato dalle cassette, per la futta. Certo è che anche al camposanto di S. Lazzaro non ci fu posto per i seppellimenti, e si dovette ricorrere ai cimiteri frazionali.
    Sui ruderi degli edifici distrutti cominciarono ad apparire scritte di violenta protesta. Vi aveva provveduto l'ufficio di propaganda dei reggitori d'allora, ma è indubbio che interpretassero lo sdegno di tutta la cittadinanza.
    Furono parecchi coloro che a causa delle ferite morirono dopo varie settimane, malgrado l'encomiabilissima dedizione dei medici di Treviso che - nei posti di soccorso istituiti nei vari punti della città - nell’ospedaletto approntato nella zona di S. Antonino vennero accolti 150 feriti gravi ed altrettanti di leggeri - riuscirono a salvare un gran numero. Qui e negli ospedali della provincia fu assiduamente presente, per recare espressioni di conforto, il Vescovo mons. A. Mantiero che con i suoi collaboratori fu visto tra le macerie della città ancor prima della cessazione dell'allarme.
    Un giovane sordomuto venne estratto salvo -dopo oltre tre giorni- dalle rovine della sua casa in via Pescatori. Il padre era morto all'istante, e la madre -vissuta fino alla domenica di Pasqua- gli aveva fatto schermo col proprio corpo per proteggerlo dalla possibile caduta di altri materiali.
    Durissimo il bilancio degli edifici distrutti o gravemente danneggiati. 
    Il palazzo dei Trecento, il più prestigioso monumento civile di Treviso, era quasi totalmente crollato; una enorme trave si era infilata attraverso il pavimento fuoriuscendo dal soffitto della sottostante solidissima loggia.
    Gravemente colpiti in molti casi irreparabilmente furono la sezione ospedaliera di Cafoncello, il Duomo, il palazzo Da Noal, la chiesa di S. Martino, il tempio votivo della Madonna Ausiliatrice, l'edificio della Borsa, il battistero di S. Giovanni, la stazione ferroviaria, il politeama "Garibaldi", il patronato S. Nicolò, l'orfanotrofio "G. Emiliani" e la vicina scuola industriale, il liceo ginnasio "Canova", la scuola "De Amicis", la Corte d' Assise e il palazzo degli Agolanti, numerose case quattrocentesche con le pareti affrescate che costituivano un aspetto caratteristico, quasi esclusivo della città.
    Le località più sconvolte risultaronoquelle periferiche di S. Lazzaro, Fiera e S. Antonino; in città il quartiere di S. Nicolò,piazzalee via Cesare Battisti, via Giordani (via Pescatori), Tezzon, via Dotti, via Fra' Giocondo.
    I ricoveri colpiti furono otto tra cui quello detto "dei Bagni"; era un vicolo interrato che attraversava il giardino dei conti Avogadro e che era stato dotato di una copertura di calcestruzzo : divenne una raccapricciante tomba per coloro che vi si rifugiarono.
    Sull'antenna della torre di piazza dei Signori venne issata - a carattere permanente e a mezz'asta - una bandiera tricolore.
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    Tra le tante cose preziose perdute dai sinistrati sono da ricordare le carte annonarie, e la Sezione provinciale dell'alimentazione ordinò il rilascio di duplicati. 
    Nei giorni immediatamente successivi al bombardamento venne disposta la distribuzione, per persona, di 100 grammi di burro, 100 grammi di formaggio fuso, 300 grammi di marmellata, 70 grammi di salumi, 50 grammi di conserva di pomodoro, e un certo numero di candele steariche; il pane poteva venire ritirato nei panifici anche senza la carta annonaria ( previa annotazione con riserva di ritirare il bollino) nella normale misura di 150 grammi giornalieri. Venne autorizzata la distribuzione straordinaria di 100 grammi, per persona, di carne in conserva e latte condensato. 
    Provvedimenti di assistenza vennero adottati con prontezza, e in pochi giorni vennero raccolti fondi per L. 1.500.000: la cassa di Risparmio erogò, il 10 aprile, centomila lire di cui 50.000 messe a disposizione dell'autorità civile e 50.000 assegnate al proprio personale maggiormente sinistrato. 
    Notizia comprensibilmente accolta con gioia fu quella dell'aumento di 50 grammi, dal 20 aprile, della razione giornaliera di pane, che risultò pertanto la seguente: 200 grammi per i normali consumatori, 275 grammi per i giovani dai 9 ai 18 anni, 375 grammi per i lavoratori manuali, 475 grammi per gli operai addetti ai lavori pesanti e di 575 grammi per gli addetti ai lavori pesantissimi.
    Anche la razione di pasta e riso venne aumentata : tre chilogrammi al mese complessivamente. Il tasso di abburrattamento della pasta venne ridotto dal 90 all’80 per cento.
    Poichè le scuole del capoluogo erano state chiuse, il capo della provincia prese accordi con il provveditore agli Studi e il 13 aprile emise un decreto col quale
    Tutti gli studenti delle classi 1926-27-28residenti a Treviso, debbono considerarsi mobilitati al servizio del lavoro e presentarsi al Comando provinciale dell'U.N.P.A presso la Prefettura di Treviso, alle dipendenze del quale resteranno per tutto il periodo di emergenza necessario al riassetto del capoluogo e ripresa della vita cittadina.
    Gli studenti che non ottempereranno tale ordine, non verranno presi in considerazione ai fini degli scrutini finali e saranno deferiti al Tribunale di guerra.
    Con detta ordinanza venne richiesto l'invio a Treviso, a disposizione del Genio Civile, di tutti gli automezzi non impiegati per industrie di guerra o approvvigionamenti alimentari, e la requisizione di tutti i carri agricoli dei Comuni situati a una distanza non superiore ai quindici chilometri da Treviso. Ciò per il periodo di emergenza necessario alla riattivazione della vita cittadina.
    Ripresero a funzionare presso il Seminario vescovile, dopo la distruzione del vicino patronato di S. Nicolò il refettorio che distribuiva minestra, per i meno abbienti, a cura delle organizzazioni religiose.
    Il 16 aprile Domenica in Albis - in tutte le chiese della provincia vennero celebrati riti di suffragio per le vittime dell'incursione. Nel tempio di S. Francesco a Treviso ha celebrato la Messa il vescovo mons. Antonio Maniero.
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    Fervevano intanto le operazioni di sgombero delle macerie tra le quali -anche dopo un mese- vennero rinvenute alcune salme.
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    Poichè solitamente riparavo con la famiglia nel ricovero allestito a poche decine di metri da casa -e che venne colpito in pieno- si diffuse la notizia, avvalorata dal fatto che la pur traballante abitazione era rimasta deserta nei giorni successivi, che anche noi fossimo morti. Messe di suffragio vennero fatte celebrare, per noi, da famiglie amiche.
    Un ricordo personale di maggiore interesse risale a pochi mesi dopo la conclusione della guerra. E' necessario premettere che, trentacinque anni addietro, la famiglia di mia madre abitava in una grande casa nel cui androne erano situati gli ingressi di due abitazioni; in una di queste alloggiava la famiglia di un bambino di 7-8 anni il quale era compagno di giochi della mia futura mamma, e che successivamente emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti.
    Il ragazzetto trevigiano divenne cittadino americano, con tutti i conseguenti diritti doveri, e il 7 aprile -quale sottufficiale dell'aeronautica americana- era lassù, in uno di quei maledetti bombardieri che stavano fracassando Treviso. Conclusa la guerra e trovandosi in Italia, tornò alla casa natia per avere notizie dell’Angelina, la compagna di giochi dell'infanzia ormai lontana.
    Non trovò mia madre ma altri parenti che erano subentrati nell'abitazione situata ai margini della città. Riferì l'angoscia provata quel giorno per la certezza di aver recato danni irreparabili alla sua città, per il dubbio atroce di aver contribuito a dilaniare anche la bambina che, nella sua mente, era rimasta impressa tra le cose più care della sua terra d'origine, della sua Patria diventata nemica. Informò anche -e questo è il motivo che qui interessa- che l'azione contraerea aveva notevolmente contrastato l'incursione su Treviso; le schegge dei proiettili esplodenti a poca distanza dagli aerei schizzavano entro le fusoliere, per cui le formazioni rientrarono con alcune decine di morti a bordo e numerosi feriti. Non ci fu possibile incontrarlo. Gli bastò sapere che era cessato almeno uno dei suoi motivi di rimorso, e partì.
 
 
Dal libro TREVISO NEL FUOCO di Mario Altarui. Edito dalla Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana nella ricorrenza del XXX° del Venerdì Santo 1944. Edizioni di Ca' Spineda

IL BOMBARDAMENTO DEL 14 MAGGIO 1944
Trascritto dal cyberamanuense Bruno Fanton in ricordo delle vittime innocenti, e per indicare alle nuove generazioni modi alternativi di studiare la storia.
 
 
    A conferma che Treviso non presentava obbiettivi validi per l'indiscriminato bombardamento che, nel tragico Venerdì Santo, sconvolse la città e il suburbio nei sette minuti iniziati alle 13.05 e durante i quali -in tre successive ondate- oltre trecento quadrimotori vuotarono il loro carico di morte, riproduciamola lettera di protesta che il comitato provinciale di Liberazione nazionale di Treviso indirizzò il 15 aprile.
Al Comando Militare Provinciale del C.V.L.:
SI INVITA CODESTO COMANDO MILITARE PROVINCIALE A SEGNALARE AL COMANDO ALLEATO CHE GLI ULTIMI BOMBARDAMENTI, E SOPRATTUTTO QUELLO ESEGUITO IL 7 APRILE 1944 SULLA CITTA' DI TREVISO SONO STATI DANNOSIALLA CAUSA AVENDO ESASPERATO LA POPOLAZIONE PER I DANNI INGENTI PROVOCATI A CASE E A PERSONE, SENZA CHE ALCUN NOCUMENTO DI SERIA IMPORTANZA SIA STATO APPORTATO AD OBBIETTIVI DI CARATTERE MILITARE. LA PRESENTE SEGNALAZIONE RIVESTE CARATTERE DI ESTREMA URGENZA ED IMPORTANZA, PER CUI SI INVITA CODESTO COMANDO A DARE COMUNICAZIONE A QUESTO COMITATO CIRCA LA SUA EFFETTUAZIONE, COMUNICANDO ANCHE l’EVENTUALE RISPOSTA DEL COMANDO ALLEATO.
    Il comando cosiddetto Alleato rispose sollecitamente per via aerea il 14 maggio, di domenica : con un'altra crudele azione terroristica su Treviso.
    Era appena passato il mezzogiorno quando i quadrimotori angloamericani salirono rapidamente dall'orizzonte. Io mi trovavo, con i familiari e migliaia di altre persone a sud della città'. Le bombe, sganciate proprio sopra le nostre teste, iniziarono la loro caduta obliqua prima rotolando e poi decisamente rivolte alla nostra povera città' della quale si scorgevano nitidamente le case. Le deflagrazioni produssero un effetto ottico allucinante: si videro, letteralmente, i tetti degli edifici saltare in aria, subito superati da una nera coltre di fumo e di polvere che ristagnò per lunghi minuti sulla martirizzata Treviso. Altri lutti, altre mutilazioni di monumenti e di case.
    I morti non furono molti perchè, dal Venerdì Santo, appena le sirene suonavano tutti si precipitavano il più lontano possibile. Non tutti riuscirono. Di una mia parente non rimase nulla, e venne ritrovato solo un pezzo di bicicletta con la borsa in via Zermanesa che venne duramente colpita unitamente alle vie Carlo Alberto, Sant' Andrea, Collalto, zona di S. Tommaso, la piazzetta retrostante il palazzo dei Trecento (ora p. G. Ancilotto), mentre gravissimi danni subì la Loggia dei Cavalieri (unica loggia pubblica del genere ancora esistente in Europa, risalente al XII secolo e ornata di affreschi). Una bomba rotolò lungo lo scalone del palazzo della Prefettura, recando ugualmente notevoli lesioni.
    Scoppiò invece quella che colpì il padiglione della seconda divisione medica dell’ospedale civile; fortunatamente i degenti erano già stati trasferiti nei locali dell'asilo infantile di Casier.
 
 
Dal libro TREVISO NEL FUOCO di Mario Altarui. Edito dalla Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana nella ricorrenza del XXX° del Venerdì Santo 1944. Edizioni di Ca' Spineda

DOMUS